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La valutazione della ricerca nelle cosiddette "scienze dure" ha finito per promuovere, negli anni, strumenti "quantitativi" (pur spesso discussi e certo discutibili). Questi sistemi, con evidenza, "non funzionano" per i saperi umanistici, che lavorano per lo più nelle lingue nazionali e in gran parte concretizzano i risultati della ricerca in monografie che sfuggono ai database bibliometrici. D'altra parte, la valutazione riveste un impatto sociale sempre più rilevante all'interno di una crisi, non solo economico-finanziaria ma anche culturale, di cui ogni giorno sono visibili effetti ed esiti. I punti di vista degli autori non sono coincidenti, quasi a rappresentare la molteplicità delle posizioni che si sono riscontrate tra gli umanisti negli ultimi anni. Differenze che rappresentano tuttavia non una debolezza ma una ricchezza, o almeno un'opportunità, segnalando come gli umanisti possano portare un contributo decisivo, a fronte di una crisi aperta, non solo alla definizione epistemologica della ricerca e della sua valutazione, ma al significato che essa riveste nell'università e nella cultura nel suo complesso. II discorso sulla valutazione diviene quindi lo sforzo per far riflettere sulla funzione dell'università, della diversità dei saperi, che richiedono modi diversi per essere compresi, tramandati, interpretati: è una riflessione su come la "qualità", attraverso il faticoso percorso di una sua definizione, possa diventare un elemento di essenziale significato sociale, politico, culturale.